L’università di Napoli Federico II ha allargato la sua sede con la realizzazione, prossima, di un nuovo polo universitario a Bacoli, dedito all’archeologia sommersa, all’interno di Villa Ferretti, un luogo che fa parte dei beni sottratti alla malavita e che è diventato simbolo del riscatto sociale, prima ospitando manifestazioni culturali ed ora trasformandosi in sede della sete di sapere e conoscenza.
Per chi non lo sapesse, nel Golfo di Napoli, nella zona dei Campi Flegrei, esiste il Parco sommerso di Baia, una zona protetta che si prefigge la tutela e lo studio dei reperti archeologici presenti nelle profondità marine di quell’area nonché la salvaguardia degli ecosistemi marini e costieri. La decisione dell’Università napoletana si lega proprio alla possibilità di incrementare lo studio e la ricerca dell’archeologia sommersa approfittando della bellezza e dei tesori che quei luoghi custodiscono.
Ma che cos’è l’archeologia sommersa? È una branca dell’archeologia che si occupa dello studio archeologico dei siti sommersi, contribuendo ad espandere le possibilità di conoscenza dell’antico, sotto nuove forme e per altra via. Con l’ausilio di tecnologie prese a prestito dall’oceanografia, equipaggiamenti e tecniche di immersione all’avanguardia, l’archeologia sommersa si prefigge di indagare il passato da resti, testimonianze e reperti sepolti tra le acque che difficilmente sarebbero potuti uscire alla luce.
Nello specifico i luoghi del Parco sommerso di Baia, in seguito alle azioni di bradisismo dell’area vulcanica, racchiudono uno straordinario valore storico, archeologico e naturalistico, conservando nelle sue profondità, a circa 5 metri sotto il livello del mare mosaici, sculture, affreschi, colonne ma anche ecosistemi di grande interesse e pregio.
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