Dopo l’inizio nel 2019, gli stop dovuti all’emergenza covid e un faticoso lavoro da parte di operatori e studiosi su un’opera che partiva già difficile nella sua restaurazione, sono finalmente finiti i restauri della Pietà Bandini di Michelangelo, conservata al Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.
L’imponente gruppo scultorio – a parte il lavoro di integrazione dell’allievo del maestri fiorentino, Tiberio Calcagni, alla vendita dell’opera allo scultore Bandini – non è stato mai veramente oggetto di grandi interventi di pulitura pertanto presentava una giacenza di depositi superficiali lunga 470 anni!
Come risaputo, questo indiscusso capolavoro venne scolpito quando Michelangelo aveva già 75 anni e come si tramanda pare che il maestro fosse sempre scontento del risultato tanto da provare a distruggerlo a martellate.
In realtà dal restauro appena concluso sono emersi interessanti dettagli in proposito che hanno permesso di pensare ad una diversa verità. Infatti l’intervento oltre a rimuovere strati di gesso, polvere e cere accumulate nei secoli portando a nuova luce la bellezza che fu, ha fatto spostare l’interesse anche verso altri elementi come appunto i segni di lesione che presenta la scultura. Questi segni, ad uno studio più attento e approfondito, hanno mostrato essere non tracce di colpi inferti dal maestro ma microfratture legate alla scarsa qualità del blocco di marmo su cui operava e questa potrebbe essere la causa dell’abbandono del tormentato progetto da parte di Michelangelo.
Relativamente alla qualità del marmo è poi anche emerso che non proveniva, come si è finora pensato, dalle cave medicee di Carrara ma da quelle di Seravezza e probabilmente era già difettoso.
I risultati di questo restauro saranno visibili fino al 30 marzo 2021, continuando a mantenere la sua particolarità di cantiere aperto, il che ha permesso ai visitatori di osservare gli sviluppi fino ad ora che è possibile ammirare l’opera nel suo rinato splendore.
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