C’è un’artista che ha fatto della sua arte una continua sperimentazione dei sentimenti e delle reazioni umane, confrontandosi sempre col pubblico, a cui le sue opere sono destinate e travalicando spesso i confini del suo corpo e dell’arte stessa. E’ Marina Abramovic, artista montenegrina naturalizzata statunitense, che da quando cominciò ad approcciarsi all’arte – intorno ai quattordici anni – ha continuamente fuso arte e vita, anche quella privata.
“The artist is present” e l’amore di una vita
Molti forse la ricorderanno per l’opera “The artist is present”, dove l’artista rimaneva in silenzio, seduta davanti a chi di volta in volta voleva porsi dinanzi a lei, esplorando i suoi occhi. Una performance di 716 ore, durante le quali l’Abramovic provò la forte emozione di ritrovarsi di fronte anche quello che fu l’amore di una vita, Ulay, col quale aveva condiviso vita ed arte e che aveva lasciato 23 anni prima. Ma l’artista ha anche letteralmente rischiato tutto per l’arte, a volte anche la sua stessa vita. Emblematica, in tal senso, è un’opera di cui fu protagonista circa 44 anni fa. Un’opera che ha fatto scalpore – come spesso le opere dell’artista – soprattutto per il messaggio che ci ha consegnato: una disumanità che fa da specchio alla società di oggi.
La performance della disumanità
Era il 1974, l’artista si esibiva con la sua opera “Rhythm 0” a Napoli. In un biglietto poggiato su un tavolo, su cui erano posizionati oggetti di piacere e distruzione, l’artista aveva scritto che sarebbe rimasta immobile per circa 6 ore, prendendosi la responsabilità di tutto ciò che le fosse accaduto in quel tempo. Sul tavolo c’erano 72 oggetti tra cui fiori, piume, profumi, acqua ma anche coltelli, rasoi, addirittura una pistola carica. Il pubblico avrebbe potuto usare ciò che voleva, considerando il suo corpo, una tela vivente.
All’inizio, tra la titubanza della gente, le prime azioni si risolsero in un po’ di solletico o in sfioramenti con fiori. Poi la situazione è cambiata, degenerando lentamente. Il risultato, dopo la performance, fu l’aspetto spaurito e devastato dell’artista: gli occhi gonfi per il pianto, il corpo sanguinante, ferito da lamette o spine di rose, le nudità scoperte dai vestiti tagliati, la dignità di donna violata da approcci sessuali.
Qualcuno era arrivato addirittura a metterle in mano la pistola carica, puntata alla gola…
Insomma, in quel momento, in un’escalation di aggressività, la scelta del pubblico avrebbe anche potuto portare ad una decisione fatale. La conclusione dell’esperimento vide poi l’artista – passate le 6 ore – girare, nelle condizioni prima descritte, tra il pubblico nella più totale indifferenza, come se quasi ci si fosse dimenticati di ciò che poco prima si era stati capaci di fare. Un’opera che quindi rivela come, in quanto poco tempo, una persona definita normale possa trasformarsi in violenta, se si trova nella condizione favorevole, ossia in presenza di un soggetto debole ed indifeso, su cui può esercitare la propria supremazia.
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