Prince Art Gallery Casa D’Aste, Vicenza 31 Gennaio 2018
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Flavia Mantovan
Flavia Mantovan
Prince Art Casa D’Aste, Salerno 01 Luglio 2019
€ 16.500
L’arte del ritratto in mostra a Tokyo
La ritrattistica è sempre stata un genere che ha suscitato grande interesse negli artisti, in ogni epoca. Affascinati dalla figura umana, essi hanno immortalato personaggi e situazioni, così come oggi fa la fotografia, rispondendo alle esigenze dei vari committenti. E le esigenze sono sempre state tante in ogni tempo, in quanto il ritratto era il mezzo privilegiato per affermare la propria identità, prestigio e potere. Erano infatti soprattutto gli aristocratici a richiedere di essere ritratti o i grandi personaggi, chi per valore, chi per gloria, chi per continuità storica o dinastica. Dipinti, tavole, busti in marmo o mezzi busti, tutto era riprodotto con grande realismo documentativo, non privo però di elementi che riconducano a quello sguardo soggettivo dell’artista che rende unica ogni sua opera.
A questa eccezionalità del filone ritrattistico dedica un’interessante mostra, il National Art Center di Tokyo che dal 30 Maggio al 3 Settembre 2018 espone 110 capolavori di genere, provenienti dagli 8 dipartimenti del Louvre di Parigi. “The Art of Portraiture in the Louvre Collections” – questo il titolo della mostra – è un vero e proprio excursus, attraverso le epoche, del ruolo sociale dei ritratti e delle variazioni nel tempo del genere artistico. Si va da manufatti dell’antico Egitto e della Siria alla celebre tela del “Marat assassinato” di David o alle opere di Ingres, Rembrandt e Botticelli o ancora ai ritratti e alle sculture raffiguranti Napoleone. Inoltre ad emblema della ritrattistica rinascimentale è esposto il ritratto affascinante e misterioso della “Bella Nani”, opera del Veronese che ritorna in Giappone dopo circa 27 anni, in cui l’effigie della giovane donna oscilla enigmaticamente tra l’immagine realistica di un’esponente dell’aristocrazia veneziana e la rappresentazione ideale della bellezza femminile.
Rosy Mantovani
L’addio a Pippo Caruso, direttore d’orchestra Rai
Volto noto della tv anni ‘70-’80, Pippo Caruso si è spento il 27 Maggio 2018, all’età di 82 anni. E’ stato direttore d’orchestra, arrangiatore e compositore e forse dai più ricordato per il suo sodalizio professionale con Pippo Baudo. Conterranei, i due Pippo hanno legato la loro storia a diversi programmi tv, tra cui varie edizioni del Festival di Sanremo, Domenica in, Fantastico.
La carriera e i successi
L’esordio in tv di Caruso però risale all’edizione del 1973 di Canzonissima, per la quale scrive la sigla del programma. Da lì poi l’ascesa dirigendo le orchestre Rai di Roma e Milano, l’orchestra sinfonica della Rai e del Festival di Sanremo, quella di Roma e del Lazio e tante altre ancora. Oltre che per la tv il maestro ha musicato anche per il cinema, scrivendo le colonne sonore del film “Uccidete Johnny Ringo” (1966), “Maladolescenza” (1977), “Porca società” (1978) ed altri. Inoltre alcuni brani da lui composti sono diventati dei veri e propri successi commerciali. Basta ricordare “La tartaruga”, “Isotta”, “L’amore è” (con la voce di Lorella Cuccarini ed Alessandra Martinez) e il famosissimo jingle di Sanreno: “Perché Sanremo è Sanremo” Sono anche tantissime le collaborazioni con grandi artisti sia nazionali che internazionali. Ha infatti diretto personaggi del calibro di Liza Minnelli, Célin Dion, Michael Bolton, Michael Bublè, Andrea Bocelli, Katia Ricciarelli, Giorgia, solo per citarne qualcuno.
I saluti al maestro
A salutare il maestro, i cui funerali si tengono oggi pomeriggio alle 16.00 nella Chiesa Santa Croce di Passo Corese, in provincia di Rieti dove abitava, sicuramente Pippo Baudo che ha commentato la scomparsa dell’amico fraterno con queste parole: “Ha segnato la storia della nostra canzone, un’epoca importante dello spettacolo e della cultura in Italia”
Manù
Il Mantegna ritrovato: la “Resurrezione di Cristo”
Una recente scoperta ha ridato il giusto valore ad un dipinto che per circa 200 anni è stato dimenticato nei depositi dell’Accademia di Carrara di Bergamo, etichettato come “Copia da Andrea Mantegna”. E’ la “Resurrezione di Cristo”, una piccola tavola di 48,5 x 37,5 cm, giudicata già nell’800 – e poi confermata negli anni 30 del ‘900 – un non originale del Mantegna e, tra alterne vicende, nemmeno un’opera di attribuzione agli allievi della bottega dell’artista padovano. La tavola proveniva dalla collezione del conte Lochis, che aveva in sé anche altre opere riferite al Mantegna che in realtà poi si sono rivelate delle copie.
I particolari che restituiscono un capolavoro
La tesi di non paternità del Mantegna, che negli anni ha tenuto nell’oblio questo capolavoro, rendendolo assente anche dai cataloghi, è stata oggi smontata in seguito ai lavori eseguiti per il catalogo completo dei “Dipinti Italiani del Trecento e del Quattrocento” da parte dell’Accademia Carrara di Bergamo. Durante la catalogazione delle opere, Giovanni Valagussi, conservatore della Collezione Carrara, ha notato un particolare del dipinto che ha letteralmente cambiato la scena. La “Resurrezione di Cristo” infatti reca in fondo alla tavola una piccola icona a forma di croce attaccata ad un’asta che, insieme all’arco di roccia sottostante, ha fatto presupporre una certa continuità dell’opera, ravvisata dagli studiosi in un altro capolavoro del Mantegna conservato a Princeton nella collezione privata di Barbara Piasecka Johnson: “Discesa al Limbo” del 1492. Ad avvalorare la possibilità che le due tavole siano una la continuazione dell’altra è stato anche Keith Christiansen, curatore d’Arte Europea del Metropolitan Museum di New York e massimo esperto dell’artista.
Impennata nelle quotazioni: da 30mila euro a 30milioni di dollari
La scoperta ha avuto il suo riscontro anche sul Wall Street Journal che non solo ne ha ricostruito la sensazionale vicenda storico-artistica del quadro che risulta databile 1492-93 ma anche quella relativa alle sue quotazioni. Se infatti la “Discesa al Limbo” fu battuta all’asta da Sotheby’s nel 2003 per 28 milioni e mezzo di dollari, la “Resurrezione di Cristo” valutata a suo tempo intorno ai 30mila euro, oggi raggiunge un valore d’asta di quasi 30milioni di dollari.
E se fosse un polittico?
Ma la vicenda non finisce qui! Pare che, così strutturate, le due opere possano far pensare ad un polittico ancora più articolato dove possono trovare probabile collocazione, per similitudine, altre due opere del Mantegna: la “Morte della Vergine”, attualmente conservata al Museo del Prado e l’ “Assunzione al cielo di Maria”, presente alla Pinacoteca nazionale di Ferrara. Gli studi quindi non si fermano, anche se al momento la preoccupazione principale è quella di dare all’opera una collocazione adeguata al suo valore e una nuova dignità estetica, perduta negli anni a causa di polvere e smog.