Settembre ha spazzato con le fiamme di un rogo impressionante circa 200 anni di storia, ricerche e conoscenza, Ottobre sembra riportare qualche barlume di speranza nel “non tutto è andato perduto”!
E’ quello che sta succedendo in Brasile, colpito, il mese scorso dalla terribile sciagura che ha totalmente distrutto il Museo Nazionale dell’Università Federale di Rio de Janeiro con un incendio devastante ed oggi alle prese con il recuperabile. La notizia più gratificante di questi giorni è che, seppure buona parte degli oltre 20 milioni di reperti custoditi nel museo è andata persa o danneggiata, quello che era il fossile più importante ed antico lì serbato non è perduto per sempre. Stiamo parlando di Luzia, lo scheletro di una donna ritrovato nel 1974 in una grotta in Brasile e databile all’era del Paleolitico superiore. I resti ossei consistevano in un cranio in buone condizioni di conservazione e parti dello scheletro (femore, tibia, radio, ulna e parte del bacino). Gli studi condotti riportarono che molto probabilmente lo scheletro era appartenuto ad una donna di circa 20 anni, morta forse per un incidente o vittima di un attacco animale. Dalla struttura della mascella, doveva far parte dei popoli provenienti dall’Africa che hanno caratterizzato la prima ondata di immigrazione sudamericana. Fu soprannominata dagli studiosi “Luzia”, in omaggio a “Lucy” il fossile umano scoperto in Etiopia e risalente a 3,2 milioni di anni fa, traccia scientifica fondamentale nella costruzione della parabola evolutiva della specie umana.
Secondo quanto riportato da O Globo, il quotidiano d’informazione brasiliano, le ricerche condotte fra le maceria dell’incendio, hanno riportato alla luce molti frammenti dello scheletro. Sembra che il cranio possa essere ricostruito all’80%. Una notizia che riaccende la speranza specie per quanti hanno lavorato instancabilmente alla costituzione delle collezioni di quel museo che contava – come detto – 200 anni di attività.
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