In quest’ultimo anno appena trascorso l’Italia ha visto il rimpatrio di molti reparti archeologici restituiti dagli USA e da paesi dell’Unione Europea. Un’operazione, questa, di una certa ingenza, celebrata con una conferenza stampa a fine dicembre 2021, durante la quale il Ministro della Cultura Franceschini ha ribadito il suo impegno nel ricondurre in patria i beni che originariamente ad essa appartengono. È uno dei punti trattati nell’articolo 2.3 della Dichiarazione di Roma del G-20 della Cultura, in cui viene dichiarato che, in paesi membri che come l’Italia hanno una grande tradizione storica e artistica, i traffici illeciti di beni culturali sono un vero e proprio danno dato che portano alla perdita di beni insostituibili “preziose fonti di significato, identità, conoscenza, resilienza e benefici economici”.
Dichiarazione che fa ben sperare in altri successi del genere per il futuro, per il momento però i risultati ottenuti sono frutto di anni o forse decenni di indagini e confische. Difatti dagli Stati Uniti sono ritornati 201 pezzi archeologici di pregio dal valore complessivo di 10 milioni di euro rinvenuti nello stato di New York dove erano stati venduti da trafficanti a gallerie, case d’asta e collezionisti privati. Di questi 201 reperti, 40 resteranno in mostra fino a marzo 2022 presso il Consolato Centrale d’Italia a New York e il resto sarà custodito nei depositi dei vari TPC (Tutela Patrimonio Culturale).
Da paesi europei come la Germania, l’Olanda, la Svizzera e, in particolare, il Belgio sono rientrati invece importanti reperti della civiltà daunia – antica popolazione dell’Età del Ferro stanziatasi nelle terre tra Foggia e il Gargano – che erano stati scavati illegalmente in terra pugliese e lucana e poi trafficati all’estero.
Dal Belgio sono stati restituiti circa 782 pezzi ora in esposizione al Castello Svevo di Bari.
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