Un’attesa lunga più di un anno, forzata e forzosa per via della pandemia, che però ha incentivato le opere di restauro e rispristino di un luogo eccezionale che ora torna al pubblico in un nuovo splendore e con un’eccezionale esposizione. Si tratta della Domus Aurea, la lussuosa dimora neroniana fatta costruire dall’imperatore romano dopo l’incendio del 64 d.C. e, a seguito della sua morte, deprivata delle suoi rivestimenti e sculture e volontariamente cancellata dagli imperatori successori. Venne riscoperta nella sua preziosità di interesse storico e artistico solo nel 1480 quando artisti come il Pinturicchio, Lippi e Signorelli, si addentrarono nelle grotte del colle Oppio, dove sorgeva la dimora, per ammirare le decorazioni pittoriche delle antiche abitazioni romane. Con l’idea di trovarsi di fronte agli affreschi delle terme di Tito, gli artisti-archeologi trovarono invece le rovine dell’antica residenza imperiale. Ma fu solo con Raffaello, primo sovrintendente dei beni culturali, che questi resti vennero sottoposti a studio sistematico e organico dandogli l’adeguata valorizzazione archeologica e antiquaria.
È per questo che si è pensato di riaprire al pubblico la Domus Aurea ripristinata nei suoi spazi, recuperata nelle sue criticità strutturali e rinnovata con un impianto di illuminazione che ne esalta le bellezze custodite e con la creazione di un nuovo ingresso dal parco che porta direttamente alla Sala Ottagona, con una mostra immersiva dedicata alle pitture antiche, scoperte nelle grotte del palazzo neroniano.
La mostra intitolata “Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche”, già in programma l’anno scorso per celebrare il cinquecentenario della morte dell’Urbinate e poi necessariamente rimandata, aprirà finalmente i battenti domani 23 giugno 2021 restando aperta fino al 7 gennaio 2022. Allestita proprio nella Sala Ottagona, l’esposizione narra la storia, in maniera interattiva e immersiva, della riscoperta delle grottesche, i reperti delle grotte della Domus Aurea, che hanno influenzato non solo l’iconografia del ‘500 ma anche affascinato, nella complementarità dell’interpretazione raffaellesca, artisti novecenteschi come Paul Klee e Calder e più ancora artisti surrealisti come Salvador Dalì, Max Ernst, Joan Mirò secondo una suggestione magica e onirica dell’antico apparato decorativo.
Così calati in uno scenario immagini astrologiche in proiezione rotante che si rifanno al globo dell’Atlante Farnese e trasportati da una colonna sonora e tool digitali che rievocano musiche del passato e suoni di strumenti del tempo antico, gli spettatori si ritroveranno, grazie agli effetti del morphing, in ambienti meravigliosi e ricostruzioni rinascimentali da far perdere il fiato.