Per la consueta rubrica in cui si è “A colloquio con l’arte”, Rosario Sprovieri ricorda stavolta la figura di un grande artista del Novecento – Mario Schifano – che dominò la scena della Pop Art non solo italiana ma anche internazionale, attraverso le parole di quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato.
Si parte da Pasquale Morabito, ex Dirigente del Cerimoniale della Presidenza del Consiglio dei Ministri e organizzatore di eventi culturali e musicali, si va poi a Memmo Mancini, il più famoso maestro “coloraro” d’Italia, dalla cui bottega romana sono passati artisti come da Balthus, Guttuso, Rauschenberg, Paladino, Giorgio de Chirico, lo stesso Schifano di cui fu grande amico, per finire poi col pittore Aldo Turchiaro.
“…Mario Schifano abitava a viale Spartaco e in quel periodo dipingeva soggetti comprensibili, intensi e accattivanti. Ricordo la prima mostra che organizzammo al Centro Sociale, una grande collettiva. Assegnammo un “premio” che il professor Recuvero, il curatore, conferì proprio a Mario Schifano; quello fu sicuramente il suo primo riconoscimento, l’inizio della carriera…” (Pasquale Morabito)
“…quella nostra è stata vera “fratellanza”, durata sino alla sua morte. Lui era nato come pittore “differente”, amava tante cose, era incredibilmente attratto e interessato alla fotografia, amava le immagini, era un cultore di filmati, di sequenze televisive; un pittore molto eclettico, più che un pittore, direi un uomo meditativo. Aveva un ottimo rapporto con i pittori più giovani. In quegli anni, frequentava Aldo Turchiaro, si conoscevano da tempo, erano amici. Mario amava la pittura e i colori di Aldo… per Schifano, Turchiaro era un amico, ma anche una fonte speciale d’ispirazione.” (Memmo Mancini)
“Negli anni ’50 quando avevo lo studio a via del Babuino 151, una mattina arrivò Mario Schifano, venne per chiedermi una delle mie opere; mi raccontò che era stato invitato al matrimonio di un suo grande amico e, che era sua intenzione donare un’opera d’arte quale pensiero per le nozze. Poi dette sfogo al suo disagio, riteneva infatti poco comprensibili i suoi lavori di quel periodo e, mi propose per questo, di fare cambio con uno dei miei…” (Aldo Turchiaro)
Articolo completo sulla rivista IconArt Magazine n° 07