Mischiarsi con le sfumature del colore blu per dare profondità allo spazio delle idee, creare happening comunitari come un Internet fatto di corpi veri, levigare le insenature delle mani e la rotondità di madri che generano vita. Il percorso di Anna Seccia (originaria di Ortona, in provincia di Chieti) è una successione di eventi, snodi, ripiegamenti, rotte perdute e poi riapparse, il “romanzo” di una donna che non ha mai smesso di cercare nella comunicazione il senso dell’umano sentire. Una famiglia di contadini, la scelta di studiare, l’illuminazione nel liceo artistico di Pescara. «[…] In quel periodo c’era il direttore Giuseppe Misticoni, artista famoso che ha fondato la mia scuola. E c’erano Elio Di Blasio, mio insegnante di pittura, e lo scultore Ferdinando Gammelli che mi ha fatto entrare nel mondo della scultura. Mi sono sentita valorizzata».
[…]L’anno del Sessantotto non è solo il tempo della contestazione giovanile. Si apre un concorso per una cattedra proprio all’Artistico. L’allora 23enne sbaraglia gli altri pretendenti, la vita sembra sorriderle, si sposa, ha due figli. Poi tutto cambia, nello strazio di una tragedia. Convinta di intraprendere il mestiere dell’artista a tempo pieno, lascia i suoi studenti. Il coraggio di creare opere d’arte, imporsi tra i creativi dell’epoca, viene mortificato dalla morte del marito. È un brutto colpo. Deve cambiar vita di nuovo. «[… ]Ho distrutto tutte le mie opere. Ma la pittura mi ha salvata in qualche modo[… ] ho cominciato a fare un lavoro di maieutica su di me attraverso la pittura, lavorando su tavola, sulle emozioni, sul colore. Fin quando, davanti a un lavoro ho pianto […] Ho preso consapevolezza della mia situazione e sono andata avanti, lavorando sull’astratto informale. E poi ho scelto un colore, l’azzurro, con tutte le sue declinazioni. […] Ho pensato che l’arte fosse un messaggio salvifico e ho iniziato a fare happening, negli anni Novanta […]».Negli ultimi anni è arrivata una ulteriore svolta. «Mi sono innamorata della scultura delle mani […] La mia arte partecipata e di relazione si trasferisce in un lavoro di scultura […] Realizzo anche i calchi delle pance delle donne incinte […]» Di se stessa, dice di essere ormai “scultrice dei mudra”. «Ho sacralizzato le mie mani. I mudra son gestualità particolari, gesti delle mani che si usano nello yoga, gesti che attirano energia cosmica. L’arte diventa religione, spiritualità. Adesso sto lavorando sulle mani dei centenari. Racconto la loro vita attraverso le sculture.[…] Anche fare il calco di una persona incinta è una emozione immensa. È un istante unico, che non torna più. […] Ancora una volta ciò che mi interessa è l’arte partecipata».
Articolo completo sulla rivista IconArt Magazine n° 18