Dancing with Myself, la grande collettiva ospitata negli spazi di Punta della Dogana, dall’8 Aprile al 16 Dicembre 2018, a cura di Martin Bethenod e Florian Ebner, offre all’occhio di chi guarda una riflessione contemporanea sulla rappresentazione di sé, attraverso 145 opere di tecnica mista (dalla pittura al video, dalla scultura alla fotografia), comprendenti un nucleo di lavori della Pinault collection, 85 dei quali mai esposti prima a Venezia, posti in relazione con una selezione di opere provenienti dal Museum Folkwang.
Trentadue gli artisti rappresentati, tra cui Marcel Bascoulard, Marcel Broodthaers, Damien Hirst, Giulio Paolini, si aggiungono a quelli già presentati a Essen nel 2016. Le quattro tematiche che costituiscono gli assi portanti dell’esposizione (melancolia, giochi di identità, autobiografie politiche e materia prima), nascono dal “soggetto” prescelto dai curatori, la rappresentazione di sé e non l’autoritratto tout court. Ha spiegato Bethenod: “L’autoritratto è un genere molto definito, mentre la rappresentazione di sé non obbedisce ad alcun genere e può essere trasversale a tutte le pratiche artistiche. Non si tratta tanto di un tema, quanto di un modo di procedere, di un metodo”. Ecco dunque che il corpo dell’artista si fa in un certo senso specchio per riflettere sfide razziali, tematiche politiche, contrasti sull’identità di genere, analisi sulla sessualità.
“Dancing with Myself” affronta anche un’altra tematica, quella del corpo come materia prima, “o primo strumento dell’artista, uno strumento che non è più alla ricerca di una sola identità rappresentativa o soggettiva, ma della verità del corpo”, chiarisce Ebner. C’è poi la dimensione ludica, l’idea del corpo erotico e del corpo gioco, che i curatori hanno pensato ispirandosi al film di Robin Campillo, 120 battiti al minuto e al libro di Philippe Corbé, J’irai danser a Orlando. Sullo sfondo, il punk degli anni Ottanta, a cui il titolo della mostra si ispira, rifacendosi a una celebre canzone di Billy Idol: un inno alla Bohème che si trasforma nella colonna sonora del contemporaneo.
Articolo completo sulla rivista IconArt Magazine n°01